inquietudine

Premessa.
Le persone umane ragionano innanzitutto con la pancia. Quando crescono aggiungono cuore o anima. Se si acculturano usano talvolta anche il cervello. I sociologi dispongono i bisogni umani secondo la piramide di Maslow; in basso quelli primari fisiologici legati alla sopravvivenza e alla sicurezza; più in alto i bisogni sociali, e in cima quelli del sé, dell’autostima, della realizzazione. I bisogni primari sono universali, toccano tutti e sono facilmente “dialogabili” parlando alla pancia.
La democrazia politica è una conquista relativamente recente; uno stato si definisce democratico quando il complesso normativo che lo regola viene scelto dai rappresentanti che tutti i cittadini (ricchi e poveri, stupidi o intelligenti, colti o ignoranti) eleggono. Per esser votati occorre creare consenso e per primeggiare occorre avere più consensi di altri (alti consensi non vuol dire buone idee: talvolta è il contrario). Avere le preferenze degli strati più alti della popolazione significa offrir loro argomenti politicamente costruttivi e di una certa levatura. La parte meno “sofisticata” del popolo sarà più convinta da argomenti più “pancisti”.
Il mantra di Roosevelt si dissolve nelle nuove inquietudini
Hanno voglia i governanti di ripetere all’infinito l’antico mantra di Roosevelt: “non bisogna aver paura che delle nostre paure” ma oggi la crisi economica e l’ondata dei nuovi migranti creano sentimenti di disagio sociale che sconfinano nella paura.
• La crisi del 2008, tuttora irrisolta, si porta dietro problemi lavorativi angoscianti e altrettante angoscianti nuove povertà di cui non si vede la fine.
• Il nostro debito pubblico è ormai un pesante fardello che aumenta, che emargina l’Italia nel contesto dei grandi Paesi Europei ed ipoteca il già magro futuro delle nuove generazioni.
• Le nuove ondate migratorie, che stanno dividendo la popolazione in buonisti o cattivisti in servizio permanente effettivo, imbevono la nostra attuale società di incertezza, inquietudine e timori. Il presente è incerto; il futuro è nerofumo. Si vive l’oggi per non pensare al domani e tutto viene rimesso in discussione con molti dubbi e poche certezze. A questo si aggiunge il giustificato dubbio che la nostra classe politica proceda alla giornata.
• Non si riesce a far pagare gli evasori, che sono sfacciatamente tanti e ben individuabili. Non si riesce a mettere una patrimoniale sulle grandi ricchezze immobilizzate, altrettanto ben identificabili.
• Sul versante immigrazione l’unico nostro faro è la legge Bossi Fini di 15 anni fa che complica la vita ai migranti che vorrebbero onestamente lavorare, mentre il sistema penalistico Italiano non scoraggia chi entra per delinquere. Senza escludere i soliti malavitosi nostrani che riescono perfino a “mangiare” su chi sbarca per fame.
L’inquietudine erode anche le dottrine politiche.
E così lentamente un male oscuro sta erodendo le radici della nostra storia ispirata due secoli fa da uguaglianza e fratellanza, così come stanno appassendo tutti gli ideali di un sano liberalismo capace di mitigare il capitalismo da rapina che invece oggi, come non mai, prospera senza ostacoli. La socialdemocrazia, vanto di quasi tutto il vecchio continente ha inciampato in una crisi economica che la pone a rischio d’estinzione; i suoi valori si basano soprattutto su un welfare costoso, finanziabile solo da tasse; e le tasse si possono raccogliere solamente in una società che cresce.
Il liberalismo non riesce a smarcarsi da modelli di capitalismo deteriorato da corruzione e privilegi e quello definito “sociale” persegue un capitalismo di “relazione” fondato sull’intreccio tra il capitale dello Stato e quello dei privati annodati da rapporti politici poco trasparenti e quindi contrari ad una sana economia di mercato.
I novelli untori: come ottenere consensi elettorali raccontando fandonie
Le paure vengono ingigantite da novelli untori che fanno leva sui sentimenti più populisti fra cui la ricerca di un colpevole (quasi sempre l’Euro), la diffidenza verso il diverso e la difesa ad oltranza del proprio orticello. Così la parte più egoista della società emerge in tutta la sua grossolana rozzezza; i migranti muoiono in mare? E chi li ha chiamati? Vogliono le nostre donne, i nostri orticelli, il nostro lavoro. “Vanno mandati indietro/Non devono neppure entrare/A casa nostra non li vogliamo/Se li prenda il governo o il Vaticano.” I novelli untori crescono in tutta l’Europa. E anche da noi dove fanno proseliti. Soluzioni non ne hanno; balle da raccontare tante e di effetto.
• Prima balla: il rimpatrio, “rimandiamoli a casa”. Per far questo bisogna che qualcuno se li riprenda e questo qualcuno non c’è. Quindi che si fa? Li molliamo di notte paracadutandoli a casa loro? Qualcuno ha calcolato quanti aerei e poliziotti per rimpatriare che so 200mila di quelli? Facciamo duecentomila agenti e 1.500 aerei andata/ritorno?
• Seconda balla: i campi a casa loro. I campi profughi in Europa non sono amati. La gente che ci vive vicino si spaventa e si incazza. Quelli che ci vivono dentro magari scappano ingaggiati nei campi dai caporali nuovi schiavisti, e alcuni probabilmente delinquono ingaggiati dall’abbondante malavita nostrana. E poi costano soldi e come fai a dire che spendi per i campi profughi e non per gli Italiani bisognosi? Quindi, bislacca idea: i campi profughi facciamoli in Libia. Quel che non si capisce è perché mai i libici dovrebbero volerli visto che i profughi li spediscono a noi. Possiamo sempre invaderla la Libia, occuparla e farne una colonia addetta alla raccolta, contenimento e detenzione immigrati. Ci andiamo vestiti da guerrieri celtici e l’Isis ci accoglie a braccia aperte.
• Terza balla: l’isola che non c’è; teniamoli in mezzo al mare senza farli sbarcare. Già, gli portiamo cibo, vestiti, acqua, medicine in mezzo al mare e nel frattempo li teniamo su gommoni, barconi, zattere, aspettando che prima o poi affondino. Oppure adibiamo l’unica portaerei che abbiamo, la Garibaldi, a immobile campo profughi: ce la caviamo con pochi spicci e col plauso della Merkel.
Sintesi: balle tante, idee poche e ben confuse, ma consensi numerosi. Dove si dimostra che la capacità di produrre idee spesso è inversamente proporzionale alla capacità di raccogliere voti.
Equilibri che diventano instabili
Equilibri che credevamo stabili si stanno alterando avvicinandosi al punto di rottura. Prima l’occidente ha colonizzato succhiandone la ricchezza una parte di Africa e poi di Asia. In seguito, dagli anni 80, abbiamo portato o aizzato guerre in Afghanistan, Iraq, Repubblica Centroafricana, Mali, Libia, Siria. Oggi gridiamo all’invasione di quelli che scappano dalla guerra che noi stessi abbiamo con-causato. I dati li conosciamo e sono impressionanti: i profughi nel mondo sono 59 milioni; le richieste d’asilo, solo quest’anno in Europa, supereranno il milione e mezzo. Sono anni che i migranti entrano, ma il fenomeno ci ha colti di sorpresa; avevamo chiuso gli occhi e sognavamo che le guerre fatte con bombardamenti (sempre chirurgici) e i missili pieni di caramelle avrebbero portato democrazia, pace e ricchezza.
Una tempesta demografica renderà l’EU vecchia e bisognosa di giovani braccia
Siamo, come ha scritto Galli della Loggia, in una tempesta demografica perfetta che si svolge sotto i nostri occhi indifferenti: l’UE detiene il record della più bassa natalità mondiale. L’indice di fertilità e sceso a livelli di 1,5. La demografia è una scienza esatta: si nutre di numeri e non di consensi.
• La popolazione resta stabile se la fertilità supera i 2,10 figli per coppia.
• Ai ritmi attuali, senza l’apporto di nuovi migranti, in una sola generazione l’UE perderebbe 150 milioni di persone scendendo dagli attuali 500 milioni a 350.
• L’Italia perderebbe 20 milioni e resteremmo in 40 milioni di persone per lo più anziane governate da costruttori di muri e di filo spinato che non saprebbero come mantenere un esercito di persone anziane e neppure come amministrare un Paese senza giovani braccia.
I nostri sistemi economici stanno andando verso una incapacità strutturale di assorbire mano d’opera. La telematica sta eliminando posti di lavoro e la robotica è oggi capace di fabbricare da sola macchine che a sua volta avranno (forse) solo bisogno di messa a punto e manutenzione. Siamo cresciuti nel credo che avremmo avuto più tempo libero. L’abbiamo avuto, ma senza soldi, senza lavoro, senza speranze.
C’è nessuno all’orizzonte?
A fronteggiare questi scenari sono oggi chiamate le stesse forze politiche che li hanno lasciati deteriorare senza un piano, una strategia, curando solo il numero di consensi che le mantiene dipendenti dalla droga del potere.
Oggi il “nuovo” è Renzi, ma di statisti, quelli veri che non guardavano alle nuove elezioni ma al futuro dell’Italia, non se ne vedono. Anche la nostra architettura costituzionale fa si che le consultazioni partoriscano democrazie ormai gracili, che hanno perso efficacia dopo 70 anni. Ma la difesa dello status quo è uno sport bipartisan. Prova a mettere in discussione una qualsiasi riforma e sentirai un coro di malpancisti il cui unico timore è di non essere rieletti (Renzi ne sa qualcosa).
Oggi i politici devono fronteggiare scadenze elettorali sempre più ravvicinate; conta l’oggi, al futuro ci penserà il prossimo governo. Il vincolo del consenso in democrazia può anche diventare un’arma paralizzante.
Per non parlare delle opposizioni il cui fine non è più quello di correggere ciò che i governi in carica non sanno vedere, ma quello di ostacolare e paralizzare tutto; anche quel poco che magari non risolverebbe i grossi problemi, ma forse sgombrerebbe le nuvole di domani.
Oggi l’Italia si trova ad affrontare problemi nuovi e pesanti che impongono decisioni anche impopolari. Ma la cosa non pare angosciare le opposizioni (compreso l’interna). E’ più facile blaterare se le primarie vadano o non vadano fatte e se il nuovo senato debba o meno essere eletto (a cosa serve importa meno). Poi c’è sempre zio Silvio che prima o poi rifonderà la nuova destra che tanto lustro ha dato all’Italia. Fortunatamente c’è anche un Passera che, in ticket con Della Valle, salverà l’Italia. Intanto teniamo il potere. Al futuro ci penserà il prossimo governo.
Giorgio Casadio Settembre 2015